Il P.M.A. ieri

Riportiamo, senza commenti e interpretazioni, brani di vari autori che in un passato… più o meno recente hanno scritto del nostro cane bianco ,certi di offrire al lettore una utile fonte di riflessione e di documentazione storica.

LUCIO GIUNIO MODERATO COLUMELLA (I sec . d.C.)
De re rustica, Lib. 12

Il pastore preferisce il cane bianco perché è molto diverso dal colore delle bestie selvatiche e di questa diversità c’è grande bisogno quando si dà la caccia ai lupi, nella luce incerta del primo mattino o del crepuscolo, per non correre il pericolo di colpire il cane al posto della fiera…. Un cane pecoraio non deve essere né tanto magro e veloce come quelli che inseguono i daini e i cervi e gli altri animali più veloci, né tanto grosso e pesante come il guardiano della casa o del granaio, ma robusto e alquanto violento e battagliero, dato che si tiene appunto perché lotti e combatta; deve anche saper correre quando c’è da respingere le insidie del lupo e inseguire il rapitore nella sua fuga, fargli lasciare la preda e portarla via. Perciò in previsione di questi casi il meglio è che sia di corpo lungo e snello, piuttosto che corto o quadrato perché, ripeto, si presenta ogni tanto la necessità di inseguire velocemente un animale selvatico. Quanto alle altre parti del corpo, si ritiene che siano buone quando assomigliano a quelle del cane da cortile. Se i campi sono tanto vasti che possono nutrire greggi e armenti, farina d’orzo e siero sono il miglior sostentamento di tutti senza distinzione. Se invece il fondo è piantato ad alberate e frutti e privo di pascolo, si possono nutrire con pane di farro o di grano, bagnato nell’acqua in cui sono state cotte le fave

MARCO TERENZIO VARRONE (II-I sec. a.C.)
De re rustica, de re pecuaria, Lib.2

Prima di tutto bisogna procurarsi cani idonei per età, poiché i cuccioli e quelli vecchi non sono di difesa né a se stessi né al gregge e talvolta cadono preda di animali feroci. Debbono essere di bell’aspetto, grossi di corporatura, occhi che danno sul nero o sul giallo, narici proporzionate, labbra tendenti al nero o rossicce, né volte all’insù quelle superiori né volte all’ingiù quelle inferiori, mento rientrante e dalla mascella inferiore debbono uscire due denti, a destra e a sinistra, un po’ sporgenti, mentre quelli della mascella superiore debbono essere piuttosto dritti che sporgenti in fuori, quelli aguzzi debbono essere coperti dal labbri; testa e orecchie grandi, e queste flosce, collottola e collo grossi, giunture auricolari distanziate, zampe dritte e piuttosto piegate in fuori che in dentro, piedi larghi e grandi, che facciano strepito nel camminare, dita ben separate, unghie dure e adunche, piante dei piedi non come di corno o non troppo dure, ma come gonfie e morbide, corpo schiacciato al di sopra del femore, spina dorsale né prominente né curva, coda grossa, latrato profondo, grande apertura di bocca, colore preferibilmente bianco, poiché nell’oscurità si riconoscono più facilmente, aspetto leonino…Per evitare che siano feriti da bestie feroci, si mette loro un collare che chiamano melium, cioè una cintura intorno al collo fatta di cuoio duro e munita di chiodi con testa. Nella parte interna le teste dei chiodi sono coperte da una striscia di morbida pelle, affinchè la durezza del ferro non faccia male al collo. Che se un lupo o un altro animale ne rimane ferito, ciò fa sì che siano al sicuro anche tutti gli altri cani che non hanno il collare.

STEFANO DI STEFANO
La Ragion Pastorale, 1731

Ed invero le pecore, che più degli altri animali hanno bisogno d’aiuto, da niun’altri possono essere custodite e difese che da’ suddetti cani pastorizii, fedelissimi e diligentissimi guardiani di quelle; imperocché, siccome non hanno nemici più fieri de’ lupi,, ed a’ lupi sono i cani naturalmente contrari, così da cani la lor sicurezza totalmente dipende. Comunque egli siasi, sogliono gli accennati cani pastorizii esser così vigilanti e fedeli e amanti delle pecore che ad ogni picciol sospetto di fiere, o sia di notte, o sia di giorno, si pongono a latrare, ascuotere dal sonno i pastori ed a pugnare insino alla morte.

VINCENZO DANDOLO
Del governo delle pecore spagnuole e italiane e dei vantaggi che ne derivano, 1804

La greggia tornò al monte, i cani scopersero de’ rottami fracidi delle divorate pecore, né tardò un momento ad incominciarsi la lotta tra il cane ed il lupo. Il lupo ha dovuto fuggire mettendo degli urli spaventevoli. Tante altre volte si sono sentiti degli urli vicino all’ovile, ma ognuno può essere tranquillo quand’ha uno o due cani della vera razza da pastori…E’ grandissimo l’attaccamento che il cane ha per le pecore, né il bisogno più pressante né il disagio maggiore possono determinarlo ad abbandonarle…Il collo del cane debb’essere guernito di un collare di pelle, foderato di grossa tela, e munito di punte di ferro… Fra tutti i cani che noi conosciamo non ne esistono altri che abbiano gli occhi infuocati veramente da spaventare come questi. La loro complessione è robustissima; la loro forza è grandissima e la natura li ha provveduti di molto pelo affinché possano sopportare un vigoroso freddo.

PENNY MAGAZINE, 1833

L’unica persona che si incontra per la via e’ il pastore con la giacca e con i cosciali di pelle di pecora, accompagnato dal suo bianco cane da pecora dal pelo lungo. A causa dei lupi che spesso scendono dalle montagne e commettono gravi danni, i pastori sono obbligati a tenere grande numero di cani che sono di una razza eccezionalmente bella, essendo un po’ più grande del cane di Terranova, assai fortemente costruita, di colore bianco come la neve, coraggiosa e fedele. Non si può avvicinare questi villaggi di pastori, né di notte né di giorno, senza essere affrontati da questi vigili guardiani.

ANGELO VECCHIO
Il cane, 1897

La pastorizia che tanto abbonda nel meridione non ha, a quanto pare, tanto amore per il suo più forte ed utile guardiano. Da noi si crede il cane da pastore un cane pecoraro abominevole e rabbioso e generalmente abbiamo timore ad accostarglisi. Nell’Italia meridionale. E specialmente nella campagna romana, i pastori o per dir meglio i pecorari, istruiscono i propri cani non solo a tutela delle greggi, ma li aizzano terribilmente anche contro i passanti e specialmente contro i cacciatori. La ragione di questo loro procedimento va ricercata nella gelosia che i pastori hanno dei cacciatori perché temono che possano danneggiare e sorprendere le loro abusive e grandi tese di archetti…Nell’abruzzese i pecorari hanno dei cani bianchi a pelo raso e di enormi dimensioni, ma questi sono però docili ed il oro ardimento è esclusivamente per la tutela delle greggi.

ANNE MCDONELL, 1900

I cani da pecora degli Abruzzi sono veramente formidabili. Enormi, bianchi ed irsuti, sembrano avere parti uguali di orso e di lupo e sono impareggiabili in forza e ferocia. Alcuni di essi si stavano avvicinando a noi lungo un sentiero; abbiamo visto i loro occhi fiammeggiare ed il oro ringhio ci ha dato un tuffo al cuore…Sono ammaestrati alla ferocia fin dalla nascita e com metodi crudeli. Dice De Nino :”a lui si tagliano le orecchie e dopo essere state bene abbrustolite vengono date in pasto all’animale ancora sanguinante che deve così diventare piu’ feroce”. Per lui la vita non e’ un gioco.Intorno al collo porta un largo collare con punte affilate lunghe quanto un dito. Nelle pianure d’inverno, come negli alti pascoli dell’estate, i lupi sono un pericolo costante, ma se si riesce a proteggere il collo del cane, una di queste grosse belve bianche è sufficiente a tenere a bada due o tre lupi.

C.A.GIRARDON
Il cane nella storia e nella civiltà del mondo, 1930

Bellissimo nella sua livrea candida, la silhouette agile, la coda folta cadente, il pastore maremmano, detto altrimenti degli Abruzzi, coraggioso e rustico, infaticabile come Sisifo, mentre guarda le sue pecore sa essere il miglior compagno del buttero e del vergaro.Quando i lupi popolavano le montagne e le foreste d’Italia questi cani erano muniti di un collare irto di punte di ferro per combattere con successo iloro tradizionali nemici, e nelle frequenti avvisaglie lottavano fino agli estremi piuttosto che lsciarsi involare un agnello. Nelle tele e nei pastelli del nostro Coromaldi, il grande pittore dell’agro romano, esuberante di georgica poesia, ricorre con frequenza la figura caratteristica di questo piacevole compagno, nella fresca initimità della sua vita pastorale e domestica.

CURZIO MALAPARTE
Cani di tutte le razze, 1954

Molte e strane sono le voci ella Maremma. La voce più familiare, la più nobile e antica è la voce dei cani di Maremma, dei cani pastori che hanno l’occhio rossiccio, il lungo pelo bianco, le orecchie attente e insieme pigre. Il loro latrato pieno di signorile indolenza copre ogni altra voce, si sposa al mormorio delle erbe selvatiche, al rombo della risacca, al fischio della tramontana, al nitrito dei puledri.E non v’è certo nessun incontro più caro al cuore di quello dei bianchi cani maremmani, che all’improvviso appaiono sul ciglio dei poggi o sul limitare delle selve di tamerici fra le dune marine, il lungo pelame arruffato dal libeccio, locchio fulvo dove muore il delicato bagliore del giorno…In tutta l’antica aspra maremma non sono rimasti che loro a testimoniare di una lontana grandezza, di una civiltà ormai rifugiatasi nelle tombe etrusche o entro il cerchio delle mura di macigno delle prische città dei Rasena.

TOMMASO CORSINI

Nell’agosto del 1913 il primo cucciolo di maremmano entrò a far parte della nostra famiglia; da allora siamo stati sempre legati con questa razza. Bellezza in quiete ed in azione, intelligenza, dignità, istinti naturale per la guardia, sono tutte qualità molto positive, ma c’è qualcosa di più nei nostri canoni bianchi che non è comune nella loro specie: una vena di selvatico e l’abitudine naturale di trattare l’uomo da pari a pari e come un amico, non come un Dio o un Padrone. Se cercate ubbidienza e sottomissione state lontani dalla nostra razza, ma se apprezzate l’amicizia liberamente offerta e ricevuta, un pizzico di umorismo e molti insegnamenti sulle regole che governano la vita selvatica, un maremmano tipico è quanto di meglio potrete trovare.

PIERO SCANZIANI
Rassegna Cinofila, 1958

Per mettere in chiaro la faccenda, bisogna risalire alle origini.Nel 1924 i dott. Solaro e Groppi pubblicarono sul Bollettino del Kennel Club italiano uno standard del pastore maremmano detto anche abruzzese. Il testo non precisava nessuna differenza tra maremmano ed abruzzese. Questo standard era sufficiente ai giudici per proclamare dei campioni e difatti nel volume di Fiorone “Razze canine e feline” edito nel 1937 sotto l’egida dell’ENCI c’e’ la fotografia di Camp. Febo, maremmano. Nel 1949 Fiorenzo Fiorone, sempre sotto l’egida dell’ENCI, pubblicò il grosso volume “Tutti i cani” e con il titolo “Il maremmano e l’abruzzese” scrive;”sono due razze affini. Il Solaro lungamente e profondamente le ha studiate e ne ha descritto i caratteri differenziali”. Tali caratteri differenziali, trovati dal Solaro, sarebbero quelli che, secondo Roberto De Sanctis, provocarono la decadenza della razza. Può darsi, ma è più probabile che la decadenza sia derivata dall’abbandono denunciato dal dott. Franco Terruzzi. Tale disinteresse è arrivato al punto che alcuni cinofili che vanno per la maggiore e che oggi vogliono dettare legge, hanno avuto nei loro possedimenti per anni ed anni decine di maremmani senza mai preoccuparsi neanche di iscriverli al libro Origine. Mi è avvenuto di mandare Carlo Salsa ad acquistare un maremmano da uno di tali allevamenti ed il cucciolo cedutogli non era iscritto né erano iscritti i suoi genitori. Questa indifferenza all’incremento della razza ha fatto sì che gli allevatori di maremmani, dopo aver venduto i cani non iscritti agli inglesi (i quali subito li hanno iscritti a Londra, hanno fondato un Club e ne hanno esportato i prodotti negli Stati Uniti) Hanno visto l’altro anno i maremmani nati e allevati in Inghilterra, vincere il CAC a Firenze. Lezione solenne, ma non ancora salutare.

Oggi il dott. Terruzzi, che ha tante tante benemerenze in pro del maremmano, mi rimprovera di aver classificato in “300 razze di cani” i maremmani tra i molossoidi… gli posso assicurare che ho veduto premiati maremmani con teste nettamente molossoidi. Né le razze se ne sono state immobili in un museo; esse sono invece materia vivente in costante movimento e se i tanti maremmani molossoidi di oggi saranno domani cancellati dai lupoidi, non avrò difficoltà a registrare l’avvenuto mutamento in un mio futuro volume.

A questo proposito va detto e ben chiaramente che le razze non si fabbricano sulla carta. Per illustre che sia e meritevole d’ogni stima, non è il prof. Solaro che crea l’abruzzese o il maremmano: essi sono creati dagli allevatori…Stiamo dunque ai fatti. Nel 1950 nasce a l’Aquila il Circolo del Cane da Pastore Abruzzese allo scopo di inquadrare il lavoro di ricerca e selezione della razza, cominciato nel 1946. Nel 1951 e 1952 si pubblicano su questa rivista articoli che esaminano le questioni riguardanti l’abruzzese. Il 22 e 23 marzo 1953 l’ENCI manda a l’Aquila uno dei suoi maggiori competenti, il conte Brasatola, che iscrive ai Libri Origine, come capostipiti degli abruzzesi, due stalloni,una fattrice e sei giovani. L’ENCI consegna a questi esemplari ed ai loro discendenti dei regolari certificati di iscrizione come Pastori Abruzzesi. In varie mostre successive, vari giudici qualificati rilasciano dei CAC a questi abruzzesi. Un soggetto sta anzi per essere proclamato campione. Nascono dei cuccioli nuovi, si continua la selezione, ci si appassiona intorno a questa splendida razza appenninica. Ormai gli amatori dell’abruzzese hanno tutto il necessario per il loro lavoro: i cani capostipiti, i prossimi campioni, i giovani, le varie linee di sangue, lo standard. A interrompere bruscamente la loro bella azione, cominciata or sono otto anni, ecco giungere il neonato “Circolo del pastore maremmano” il quale inesplicabilmente rinuncia ad un suo tradizionale standard stabilito fin dal 1924 e vuole accaparrarsi quello testè redatto per l’abruzzese. Si finisce per domandarsi se l’attività di questo Circolo sia davvero rivolta a far rinascere il maremmano o non a sopprimere l’abruzzese. In Inghilterra sorge un Club per ogni piccola differenza che, anche casualmente, appai in una razza: è stato diviso in due varietà il corgi, è difficile stabilire la differenza tra un lakeland ed un gallese. Perché mai dunque in Italia non dobbiamo permettere che si vada fissando da un lato un grande cane da montagna (l’abruzzese) e dal’altro un ottimo cane da gregge (il maremmano)? Perché gli allevatori dell’uno non camminano per la loro strada e non lasciano gli allevatori dell’altro avanzare per la loro? Non sarebbe certo serio per nessuno l’aver iscritto dei cani come capostipiti, l’aver distribuito dei CAC e poi dire che il prof.Solaro ha cambiato idea e deciso di sopprimere sia il maremmano che l’abruzzese per inventarsi sulla carta qualche cosa di nuovo e di più moderno.

TOMMASO CORSINI
I nostri cani, 1973

Fino a 40-50 anni fa i grandi greggi transumanti detti “vergherie” pascevano negli inverni sui terreni di tutto il litorale tosco-laziale (maremme) e si spostavano, dopo la tosatura, ai pascoli di montagna appenninici. Queste pasture estive partivano dalle montagne pistoiesi proseguendo verso sud est per almeno 300 chilometri. Le vergherie, costituite da pecore merinos o derivate (vissane o sopravissane) erano tutte accompagnate e custodite da grandi cani bianchi a pigmentazione nera. Proprietari delle greggi e quindi dei cani erano, in buona parte, grandi tenute della Maremma e del Lazio che, di solito, affittavano, ma qualche volta possedevano, anche le pasture di montagne che non di rado distavano centinaia di chilometri dalle basi della maremma tosco-laziale. Vi erano però anche pastori proprietari di grosse vergherie che,oriundi delle alti valli della Toscana, dell’Umbria, delle Marche e dell’Abruzzo, scendevano nell’ottobre sui pascoli del Lazio e della Maremma tosco-laziale avendo comprato le erbe invernali. Il medesimo tipo di cane era addetto anche a questi branchi di pecore. Per conseguenza, a voler essere pignoli, si dovrebbe chiamare “cane addetto alle greggi merine del versante tirrenico dell’Italia centrale”. Si può quindi aggiungere che molto spesso le vergherie transumanti sia di maggio che di ottobre cedevano cuccioli lungo il viaggio e che quindi un buon numero di cani da pastore adornavano e difendevano le pertinenze e le ville e fattorie della Toscana e dell’Umbria.

FRANCO CAGNOLI, LAMBERTO COLONNA, GIOVANNI PISCHEDDA
Rassegna Cinofila, 1952

Secondo alcuni cinologi, di grande autorità e competenza, questi cani vennero ai Romani dalle popolazioni italiche delle regioni montuose della Toscana, dell’Umbria e dell’Abruzzo…Ci par tuttavia necessario affermare che nella regione abruzzese i cani da pastore dovevano affrontare condizioni climatiche molto piu’ dure di quelle delle regioni toscana ed umbra. Inoltre la regione abruzzese è stata ed è ancor oggi la più infestata dai lupi, come è attestato da cronache antiche e recentissime. Occorrevano pertanto dei cani che sorvegliassero le case, che difendessero il gregge, che esplicassero insomma le funzioni che i Romani invece, secondo Columella, affidavano al cane da pastore ed al cane da corte. Ecco perché gli antichi abitanti della regione mirarono ad ottenere dei cani robusti, capaci di sopportare qualunque durezza stagionale, veloci ed agili nella corsa ma anche possenti nella lotta. Il colore bianco benne preferito per ragioni pratiche, le stesse addotte da Columella; si trattava cioè di avere dei cani il cui mantello non potesse essere confuso con quello dei lupi. Cane da gregge, da guardia, da difesa, da attacco: ecco in sintesi le qualità dell’antico abruzzese. V’è ora da chiedersi se tali qualità si sono mantenute nel volgersi dei secoli. A chi, come noi, in questi ultimi anni ha esaminato con cura esemplari di abruzzesi e di maremmani, non è sfuggito il fatto che gli esemplari migliori di abruzzesi, purtroppo rarissimi, si trovano in zone (Barisciano, Filetto, Pescomaggiore) dove i transumanti erano in numero insignificante. La conclusione a cui siamo giunti è che l’abruzzese è andato man mano perdendo la sua purezza a causa del progredire della civiltà, che apriva ai pastori abruzzesi, con strade di comunicazione non più impervie, la possibilità di portare le pecore in regioni come il Lazio, la Puglia e la Toscana, assai più miti nella stagione invernale e più propizie ai capi del gregge. Si ebbe così l’adattamento dell’abruzzese alle condizioni che avevano fissato il Maremmano e date le origini comuni ai due cani, gradatamente si venne al livellamento delle razze Nella ricostruzione della razza il Circolo del Cane da Pastore abruzzese, sorto a L’Aquila per iniziativa di alcuni appassionati, mirò dunque allo studio dei cani che anche durante l’inverno rimanevano in Abruzzo. Si vide che questi, come benissimo notò Solaro nel 1938, erano più grossi e possenti di quelli transumanti ed avevano un pelo più duro e più folto. Erano inoltre di carattere più chiuso e riservato ed in pratica assolvevano compiti vari: lavoro del gregge, lotta contro i lupi se provocati, guardia, difesa della casa, difesa personale. Alcuni di essi, usati esclusivamente come cani da corte, si adattarono benissimo, senza danni fisici e modificazioni somatiche, laddove i maremmani (principalmente cani da gregge) risentivano gravemente d’una destinazione diversa da quella consueta e sovrattutto della mancanza di movimento… In passato zona ottima di reperimento di abruzzesi era l’altopiano delle cinque miglia nonchè i paesi di Ovindoli e Celano. Vari viaggi di studio nella zona, nei mesi invernali,ci hanno però consentito di concludere che i soggetti puri sono colà scomparsi. La ricostruzione dell’abruzzese come razza distinta nettamente dal maremmano ci pare utile per molte ragioni…L’abruzzese è il cane “omnibus” per eccellenza tra le razze italiane ed è stato sperimentato con eccezionali risultati anche nella distruzione dei carnivori nocivi per l’ottimo odorato, laddove il maremmano (cfr. Scanziani:”Il cane utile”) non sembra eccellere per qualità olfattive. Infine perché una razza canina è un monumento di storia che va rispettato…Il nostro abruzzese, che pesa spesso fino a settanta chilogrammi, è un came poderoso ed agile, docile e serio, compagno di giochi ed amico discreto, silenzioso, continuamente vigile; la bellezza indiscutibile del suo opulento candido mantello, l’intelligenza che scintilla nei suoi occhi scuri, le sue virtù morali, assicurano che questo cane marita non solo i nostri modesti sforzi a suo favore, ma l’attenzione che gli competono in campo nazionale ed internazionale.

FRANCESCO GIUNTINI
La tipicità del maremmano-abruzzese, 1993

A quale titolo posso arrogarmi il diritto di trattare questo argomento? Ho seguito con passione ed ho allevato la razza da ormai 37 anni. Quando nacqui oltre sessanta anni addietro la mia famiglia possedeva una grande tenuta, la Parrina, proprio al centro della maremma toscana in comune di Orbetello. La superficie era di oltre mille ettari coltivati in maniera estensiva soprattutto a causa della malaria che fu definitivamente sconfitta proprio negli anni di poco precedenti la mia nascita. Durante l’estate la tenuta praticamente era inabitabile. Le poche famiglie di contadini che procedevano all’aratura delle maggesi si riparavano in casa dopo il calar del sole dietro le reti che schermavano finestre e porte. Il fattore trascorreva l’estate al sicuro con la famiglia nel palazzo di città nel centro di Orbetello circondato dalla laguna comunicante con il mare. Il grano era la coltura dominante; dopo due raccolti consecutivi, il terreno veniva lasciato a riposo. Si rivestiva di erbe selvatiche che venivano pascolate dalle pecore che dall’Abruzzo venivano a svernare in pianura accompagnate dalla famiglia del pastore e ovviamente anche dai cani. Una coppia di questi cani veniva tenuta nell’ampio cortile recinto della Fattoria per fare la guardia. A quel tempo il pastore tedesco non si era diffuso da un estremo all’altro della penisola e anche nelle ville e fattorie intorno a Firenze i cani da guardia erano immancabilmente i maremmano-abruzzesi. Perfino nel nostro palazzo di città, confinante con la stazione di Santa Maria Novella in Firenze, vi erano sempre uno o due di questi cani nel giardino. Tutto questo durò fino all’inizio degli anni cinquanta allorchè la riforma fondiaria espropriò vastissime superfici di terreno nella maremma toscana che furono suddivise in piccoli poderi a coltivazione intensiva. Le pecore sparirono da quelle zone dall’oggi all’indomani e con esse i cani. Gli unici cani che rimasero alla Parrina furono la coppia della Fattoria. Ricordo ancora come un giorno di caldo il maschio ,che si chiamava Vasco, si riposava stando sdraiato sul ventre all’ombra della casa di fattoria. Guardandolo mentre stava immobile, dignitoso e maestoso con i suoi begli occhi scuri a mandorla che mi guardavano diritto in faccia, fui colpito dalla grandissima distinzione della testa che esprimeva forza ma anche nobiltà e fierezza ed allo stesso tempo calma distaccata. Fu come una rivelazione. Mi resi conto che ero davanti ad un animale diverso dagli altri cani che in casa erano sempre numerosi. Era un animale plasmato dall’uomo certamente, il colore bianco ne era la prova evidente, ma qualcosa di selvaggio, di libero, connesso agli immensi spazi piani o di montagna del suo territorio evidentemente lo avevano plasmato nei secoli. Secoli nei quali aveva collaborato con l’uomo per portare con lui al successo una delle più antiche attività umane :la pastorizia. A quel tempo io ignoravo che la razza sopravviveva numerosa e fiorente in Abruzzo. Immediatamente mi detti da fare per farlo riprodurre ma i miei sforzi furono vani in quanto nell’autunno contrasse il cimurro, lo superò, ma non fu più in grado di accoppiarsi. Così nacque la mia passione di allevatore. Da quel giorno il “modello” del maremmano-abruzzese si impresse nella mia mente e quella bellissima testa di Vasco è sempre stato l’ideale al quale mi sono conformato nella mia operosità di allevatore. Vasco veniva dalle Vergherie di Marsiliana, la vastissima tenuta dei Corsini che confinava con la Parrina… Io vorrei rivolgere un appello a tutti gli appassionati della razza di chiamare sempre il cane con il suo doppio nome ufficiale di Maremmano -–Abruzzese. E’ motivo di disagio per gli uomini di Abruzzo sentir chiamare il cane prima “maremmano” che non “abruzzese” anche se ciò oggi non è evitabile in quanto questo è il nome ormai conosciuto in tutto il mondo. Tuttavia non posso loro dare torto quando si arrabbiano allorchè sentono chiamare il cane semplicemente “maremmano”.Gli abruzzesi non possono essere contraddetti quando affermano che anche se i cani, sia in passato che oggi, passano molto tempo in Maremma, pure i loro tradizionali proprietari ed allevatori hanno sempre appartenuto alla regione Abruzzo. Questa discussione si è tanto esasperata in questi ultimi anni che ,anche per mezzo di pressioni politiche, gli abruzzesi hanno ottenuto di avviare due razze distinte: Il pastore maremmano-abruzzese e il pastore o “mastino” abruzzese, come il cane viene spesso chiamato in Abruzzo. Un mastino nel gergo locale sta ad indicare più un cane da guardia che pastore. Infatti tutti sappiamo che il nostro cane è un cane da guardia o difesa che dir si voglia e non un cane da pastore in senso stretto. Da un punto di vista tecnico, non è possibile distinguere due razze di cani bianchi a pelo lungo in Italia, dato che la maggior parte dei cani registrati all’ENCI derivano da cani importati direttamente dalla regione abruzzese. In realtà nessuno può dare di ciò una maggiore conferma di quanto possa fare io stesso che ho cominciato ad allevare con cani provenienti da questa regione nel 1956, e ho continuato fino al 1988, quando ho importato la nonna dei miei attuali cani. Anche i soggetti degli allevamenti Corsini e Chigi-Saracini passavano l’estate sui pascoli delle montagne dell’Abruzzo. Piuttosto che arrivare a ricreare due razze, cosa tecnicamente e storicamente insostenibile, sarebbe molto meglio arrivare a cambiare nome alla razza…Io penso però che la soluzione migliore sarebbe quella di stabilire che il cane può essere chiamato indifferentemente “maremmano-abruzzese” o “abruzzese-maremmano”